Tecnologia al Servizio dell’Ambiente: Paradosso o Realtà?

Tecnologia al Servizio dellAmbiente- Paradosso o Realtà

Tecnologia al Servizio dell’Ambiente: Paradosso o Realtà?

Introduzione

Siccità record, crollo di ghiacciai e rilevamento di microplastiche anche nel sangue umano. Non è l’Apocalisse, ma un’istantanea non esaustiva dei problemi registrati solo nelle ultime settimane sul fronte ambientale. Qualcosa di nuovo? Non esattamente in un mondo in cui l’inquinamento atmosferico fa contare ogni anno milioni e milioni di morti.

E mentre i “grandi” della Terra si sono già dati appuntamento dal 7 al 18 novembre 2022 a SharmEl-Sheikh per la COP27, la 27ma sessione della conferenza delle parti nell’ambito della conferenza quadro sui cambiamenti climatici (UNFCC) con l’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro il 2050 e di contenere l’aumento delle temperature non oltre 1,5 gradi, vediamo se e come la tecnologia può venire in soccorso di un Pianeta malato.

Ecoinnovazione

L’ecoinnovazione è definita dalla Commissione Europea come “qualsiasi innovazione in grado di contribuire alla tutela ambientale o a un utilizzo più efficiente delle risorse” fondamentale per arrestare il cambiamento climatico.

Tra gli esempi di ecoinnovazione figurano i prodotti realizzati a partire da rifiuti riciclati, droni programmati per piantare semi (fino a 100mila al giorno) e favorire la riforestazione o la cosiddetta “acqua secca” dell’Università di Liverpool: si tratta di una tecnologia, sotto forma di polvere composta al 95% da acqua, che assorbe la CO2 “liberando” l’atmosfera.

Dal Regno Unito al Brasile, l’Università di Campinas sta lavorando a un progetto per sfruttare l’energia elettrica naturalmente presente in atmosfera.

Digitalizzazione e Sostenibilità

Di primo acchito, la digitalizzazione potrebbe sembrare un’ottima strategia per aiutare l’ambiente: meno carta, meno supporti fisici di diverso tipo, meno sprechi. Vero, come (purtroppo) vero è che qualsiasi attività digitale ha una ricaduta sull’ambiente.

Ogni ricerca su internet, per esempio, è responsabile dell’immissione in atmosfera di 1,7-2 grammi di CO2 , laddove un solo server può arrivare a produrre in un anno da 1 a 5 tonnellate di anidride carbonica (studio di Royal Society). E, ancora, il semplice invio di una email – gesto che ciascuno di noi ripete decine di volte al giorno – può comportare la produzione di anidride carbonica da 4 fino a 50 grammi a seconda del peso e della dimensione degli allegati.

Quindi, digitalizzazione sì o no?

Partiamo dal presupposto che ogni attività umana, anche digitale, ha una ricaduta sul Pianeta, talvolta pesante. Di contro, la transizione energetica non può fare a meno della tecnologia, in particolare dei dati, questo è pacifico. Dovrebbero dunque essere proprio le Big Tech a dare il buon esempio, magari sulla scia di linee guida apposite sviluppate dalle autorità di regolamentazione.

La Tecnologia che Rende Sostenibile la Tecnologia

Le Big Tech stanno adottando delle strategie orientate alla ricerca della cosiddetta carbon neutrality, ossia la riduzione e compensazione delle emissioni di CO2. Un’assunzione di responsabilità dei danni all’ambiente, insomma, che parte necessariamente dalla loro quantificazione.

Apple punta a rendere l’intera catena di approvvigionamento a emissioni zero, Amazon dichiara che sarà carbon neutral entro il 2040 mentre Google aveva già annunciato nel 2019 di aver effettuato il più grande acquisto di energia rinnovabile della storia.
Non indifferente l’annuncio di Google, dato che gran parte dell’energia utilizzata dalle aziende tecnologiche proviene dal carbone e alimenta i data center, cioè tutto ciò che utilizziamo quotidianamente: i cloud, i social, i motori di ricerca…

Il passaggio al rinnovabile è fondamentale, così come i data center iperscalabili ad alta efficienza che consentono alle Big tech di crescere mantenendo pressoché inalterato il consumo energetico.

Non solo di data center vive la tecnologia.
Un’altra questione da affrontare sono i device, che da soli sono responsabili di circa la metà delle emissioni del settore, considerando l’intero processo che va dalla produzione, alla ricarica, all’utilizzo sino allo smaltimento (il 25% della popolazione mondiale acquista ogni anno un telefono nuovo e a vita media di questi dispositivi è di circa 15 mesi a causa dell’obsolescenza programmata).

Al di là degli interventi dei produttori, dunque – e abbattere l’obsolescenza programmata potrebbe essere il primo – la palla passa a ciascuno di noi.

Le pratiche da adottare sembrano banali ma alla lunga si rivelerebbero efficaci:

  • acquistare solo i dispositivi di cui abbiamo effettivamente bisogno
  • utilizzare tool di collaborazione per ridurre al minimo duplicazione, eliminazione e invio di documenti
  • spegnere pc e telefoni durante la notte e disconnetterli dalla rete quando non li utilizziamo…

Piccoli gesti che tuttavia possono dare una grossa mano all’ambiente.

Tecnologie “Buone”

Detto che la tecnologia è bella anche se fa male, vediamo in quali casi riesce anche a essere buona (quanto meno per l’ambiente). Gli esempi non si contano: da quelli dall’impatto più quotidiano a quelli dalle ricadute futuribili.

Il trasporto pubblico elettrico merita sicuramente una menzione – naturalmente quando accompagnato da opportune e ben fatte attività di sensibilizzazione e scoraggiamento all’utilizzo dell’automobile – così come il trasporto elettrico su gomma (camion).

Considerando poi uno degli inquinanti più pervasivi e più restii a decomporsi, ossia la plastica, vale la pena parlare del riciclaggio di questo materiale, che avrebbe benefici ambientali, sociali ed economici.
In tal senso, una delle tecnologie più promettenti è la pirolisi, che fa leva sull’assenza di ossigeno e sul calore per convertire i rifiuti plastici in materia prima liquida.

Ci sono poi i robot agricoli in grado di muoversi in autonomia e in modo efficiente tra le coltivazioni, lo spray inodore Apeel che inibisce la crescita batterica e trattiene l’acqua nella frutta per aumentarne la durata naturale, l’automazione e la robotica per le attività di allevamento al fine di ridurre rischi ambientali e sanitari relativi alla biosicurezza.

La raccolta e l’analisi dei dati sono sicuramente una strada da percorrere per comprendere i fenomeni e trovare soluzioni mirate e personalizzate a ogni problema. A tal proposito, l’AI trasforma rapidamente i dati in informazioni fruibili, a patto che ogni tecnologia, oltre a fornire soluzioni ai problemi, sia in grado in primis di ridurre al minimo la propria impronta ecologica, magari con l’utilizzo di materiale riciclato e riducendo la creazione di nuovi rifiuti.

Leggi l’articolo su “Quale Impresa”, la rivista nazionale dei Giovani Imprenditori

Quale Impresa, la rivista di Confindustria